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Sempre più spesso si sono spacciate per riforme strutturali mere riforme di bilancio, utilizzando impropriamente il verbo “riformare” come sinonimo di “tagliare”.

Ciò è particolarmente vero nel settore dell’Istruzione, considerato alla stregua di uno dei tanti capitoli di spesa dell’imponente bilancio statale.

Non sorprende scoprire che, secondo uno studio dell’Ocse (“Education at a glance 2011”), in Italia:

◆ nel 2008, solo il 4,8% del Pil è stato speso per l’Istruzione, rispetto alla media Ocse del 6,1% (posizionandosi al 29simo posto su 34 paesi);

◇ tra il 2000 e il 2008, la spesa sostenuta per studente è aumentata solo del 6%, contro una media Ocse del 34% (il secondo incremento più basso tra i 30 paesi considerati);

◆ la spesa per studente non aumenta notevolmente in base al livello d’istruzione, passando da 8.200 dollari al livello pre-primario a 9.600 al livello terziario, rispetto ad un aumento medio nell’area Ocse da 6.200 dollari al livello pre-primario a 13.700 al livello terziario;

◇ tra il 2000 e il 2009, gli stipendi degli insegnanti sono leggermente diminuiti (-1%), mentre nell’are Ocse sono aumentati in media del 7%, in termini reali.

 

Investire sulla Scuola vuol dire investire sul futuro dei giovani, dunque del Paese di cui questi sono la sola speranza.

Occorre rimettere la Scuola, l’Università e la Ricerca “al centro” dell’agenda politica di qualsivoglia governo, prescindendo dai vincolo di bilancio: è “miope” immaginare di ridurre il debito pubblico di un Paese aumentando il suo “debito culturale”!

 

Come ridare centralità alla Scuola?

Ecco alcuni suggerimenti:

superamento della “parità scolastica” (causa della distrazione di risorse pubbliche in favore di istituti scolastici paritari) per ridare centralità alla scuola pubblica.

La legge n.62 del 2000 ha equiparato le scuole private a quelle pubbliche.

La realtà, però, ci rivela che:

  • il 90% delle famiglie italiane continua a preferire le scuole pubbliche per i propri figli (solo uno studente italiano su dieci frequenta una scuola privata, nonostante queste già rappresentino circa un quinto delle scuole italiane);
  • l’Italia è all’ultimo posto tra i paesi Ocse per la qualità dell’insegnamento nelle sue scuole private, in molte materie;
  • la riforma sulla parità scolastica raggira sostanzialmente il dettato dell’art. 33 della Costituzione, secondo cui “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.

riduzione a 7 anni della Scuola dell’obbligo, accorpando la Scuola elementare e la Scuola media in un comune ciclo formativo;

riqualificazione degli Istituti professionali, per troppo tempo bistrattati e considerati meno dignitosi rispetto ai più gettonati licei;

aggiornamento dei piani di studio, dando priorità allo studio delle lingue straniere e dell’informatica (come uscire da una scuola senza saper parlare ottimamente l’inglese o privi della competenza per un uso professionale del pc?) ed introducendo lo studio del diritto e dell’economia in ogni percorso d’istruzione (come ambire ad entrare nel mondo del lavoro ignorando i propri diritti di cittadinanza e non avendo nozione di cosa sia un contratto?);

trasformazione delle scuole in “centri di aggregazione giovanile”, aperti tutto il giorno tutti i giorni per offrire ai ragazzi ulteriori servizi e spazi usufruibili al di fuori dell’orario delle lezioni (ad esempio, tutor per gli studi, biblioteche, aule informatiche, palestre, cineforum);

messa in sicurezza di tutti gli edifici scolastici. Secondo un rapporto di Cittadinanzattiva, solo un quarto degli edifici scolastici è in regola con tutte le certificazioni di sicurezza, si contano lesioni strutturali in una scuola su dieci, distacchi di intonaco in una su cinque, muffe ed infiltrazioni in una su quattro. E’ davvero il Ponte di Messina, allora, la prima infrastruttura di cui il Paese più necessita? Non aiuterebbe anche il rilancio dell’economia un piano per l’edilizia scolastica che preveda almeno un cantiere aperto in ogni grande città?;

riqualificazione delle scuole disagiate di periferia o dei quartieri più problematici delle grandi città (si pensi allo Zen a Palermo o a Scampia a Napoli), da considerare il primo “presidio di legalità”;

maggiore attenzione al merito degli studenti. Perché non premiare con borse di studio, la gratuità dei libri di testo o viaggi premio gli studenti più meritevoli di ogni istituto? Perché non stimolare negli studenti la convinzione che impegnarsi di più, nello studio come nella vita, “conviene”?

maggiore attenzione al merito dei docenti. Perché non prevedere retribuzioni supplementari (premi, incentivi e gratifiche) in base ai risultati conseguiti dagli insegnanti, istituendo “centri di valutazione” in ogni istituto scolastico, di cui far partecipi anche le famiglie e gli studenti?

rivalutazione del ruolo sociale dell’insegnamento. Occorre riaffermare il principio per cui compito degli insegnanti non è solo “istruire” ma anche “educare” i giovani. Ma come pretendere che i docenti esprimano il massimo impegno ed entusiasmo nel loro lavoro quando vengono sempre “meno considerati” dagli alunni -spesso col complice sostegno dei loro familiari- e sempre più “bistrattati” dallo Stato -non disposto a retribuirli dignitosamente, ma pronto ad accusarli di non lavorare abbastanza-?

 

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